L’intervento di Letizia Bardazzi alla serata natalizia 2020 dell’Associazione De Gasperi di Legnano

Letizia Bardazzi, presidente dell’AIC (Associazione Italiana Centri Culturali), è intervenuta Lunedì 21 Dicembre 2020 alla serata natalizia della nostra associazione e, rileggendo l’esperienza dell’ultimo anno, indica l’origine, il metodo e la prospettiva del nostro lavoro culturale. 

Letizia Bardazzi alla cena di Natale della nostra associazione nel 2016

La cultura in tempo di COVID ha subito sicuramente, come sappiamo, un rallentamento, una sospensione che a ci ha lasciati senza parole. Anche per i nostri eventi, come è avvenuto per i concerti, per gli spettacoli, per le mostre è stato tutto cancellato. E dapprima siamo stati anche noi presi dalla frenesia dei primi slogan un po’ volontaristici degli enti e delle istituzioni culturali italiane che dicevano “la cultura non si ferma”. Subito dopo è stato possibile affrontare la domanda “che cosa non può essere cancellato della nostra attività?”. E abbiamo cominciato a chiederci come la posizione che ci veniva proposta dalla Chiesa e soprattutto come la sfida che ci ha lanciato il libro scritto da Julian Carron in occasione della pandemia, “il risveglio dell’umano”, che ci invitava a guardare questo tempo come un’opportunità, come tutto questo interrogasse la modalità con cui facciamo e facevamo cultura. E abbiamo scoperto che la possibilità di una espressione culturale non è mai tolta, in nessuna circostanza, perché per noi fare cultura è proprio come intensificare e far crescere quel rapporto dove facciamo esperienza del significato delle cose.

Da marzo ad oggi, sul nostro portale sono stati registrati circa 600 eventi, una media di un centinaio al mese, se consideriamo che in luglio e agosto i nostri eventi sono dedicati principalmente a dare visibilità, anticipo e contenuti al Meeting di Rimini. Sicuramente siamo cresciuti tutti nell’utilizzo delle tecnologie utilizzate, anche nella creatività dell’utilizzo di certe risorse.

Una cosa che subito è emersa chiara è che la rete dei nostri centri culturali in quei mesi si è rivelata, al di là del fare rete di cui tanto si parla, la rete di un soggetto comunitario, unito dalla stessa origine e dallo stesso metodo. Sono venute meno le barriere cittadine, per cui era possibile seguire gli eventi di tutti i nostri centri culturali in Italia e questo “giacimento di vita” è diventato una possibilità di casa per tutti, ha preso l’avvio una sorta di zapping serale tra gli eventi proposti dai nostri centri… è come disporre di un grande canale televisivo. Non solo si sono intensificati gli scambi tra di noi, ma è come se la ricchezza dei nostri centri si fosse messa insieme e fosse esplosa ed è stato possibile imparare dagli altri, entrare nella loro casa. Questo aspetto è qualcosa di cui sicuramente faremo tesoro anche quando torneremo all’attività solita, in presenza. Ma eravamo stupiti noi per primi della ricaduta che il vivere la cultura come generata dalla fede produce non solo una capacità di giudizio che si esprime, ma soprattutto la testimonianza di una speranza, la testimonianza di una speranza che è messa a disposizione di ogni uomo, come una compagnia permanente all’uomo, al suo dramma e al suo bisogno.

La cultura vissuta così testimonia una speranza, una speranza al vivere. Quindi è stato un periodo in cui si sono riscoperte le coordinate dell’azione culturale, soprattutto su questi due punti: che l’origine della nostra azione – a volte faticosa e complessa, come sapete, che richiede un lavoro tra di noi non semplice, che richiede anche risorse e una grande preparazione – è la crescita di un attaccamento che viviamo a quella forma di vita che alimenta la nostra fede, a quell’ “ora” che ci raggiunge; e che il regalo che questo dono di noi, dono di sé, produce è la generazione di una speranza, una speranza che abbatte la solitudine e che porta una luce che illumina la vita.

Sono tante le testimonianza in questa direzione: guardare alla vostra rete ci da speranza, appassionarci a cosa succede in Armenia, a cosa succede nel Corno d’Africa, vedere una testimonianza di insegnanti che vivono la DAD in modo diverso, da speranza, dona speranza. In un’intervista al Sole24ore uscita proprio ieri, Julian Carron, ridice che la natura del cristianesimo è fatta di attrazione e di comunione.

Credo che l’espressività culturale che abbiamo osservato in questi mesi sia proprio il frutto di queste due esperienze. Se non si è attratti non ci spingiamo fuori di noi, non ci muoviamo per fare il lavoro che dobbiamo fare per proporre un evento, nell’oraganizzare e nel tentare; se non si è insieme, se non si vigila passo-passo sull’origine della nostra espressività, questa può diventare come un protagonismo isolato, invece che l’espressione corale di questo giudizio che nasce dalla fede. Sulla sfida che avverto per il futuro: è quella di imparare che cosa significa una nuova socialità.

Proprio nel discorso citato all’inizio della serata, il Papa, indirizzandosi ai musicisti che fanno il concerto di Natale in Vaticano, parla dei tre movimenti generativi della creazione artistica: il primo moto è sempre quello di uno stupore e di una meraviglia, non c’è niente che non parta da questo contraccolpo iniziale dello stupore; poi c’è la nostra interiorità, la nostra intimità che è toccata da questo stupore; nel terzo punto lui dice che “la percezione e la contemplazione del bello generano un senso di speranza, che si irradia anche sul mondo circostante”, a questo punto “il movimento esteriore e quello interiore si fondono e a loro volta incidono sulle relazioni sociali, generano l’empatia capace di comprendere l’altro, con cui tanto abbiamo in comune, si tratta di una socialità nuova, non solo vagamente espressa, ma percepita e condivisa”.

Ecco, avverto che nell’ambito di una riflessione su cosa augurarci come sviluppo e crescita per l’anno nuovo, a me interessa vedere accadere questa nuova socialità, nel luogo dove siamo, con chiunque incontriamo ed entriamo in rapporto: che cosa vuol dire che la nostra azione incida sulle relazioni sociali? Che socialità genera una cultura che nasce dalla fede, anche rispetto all’esperienza dei social media, rispetto all’idea di community del mondo digitale, che evidentemente ha deluso? Ecco, questa è una domanda che ho molto a cuore e che spero abiti l’azione dei nostri centri culturali in giro per l’Italia. 

Rivedi l’intera serata

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